75 lampadari e 3 quadri
2006 Installazione Ambientale Luminosa
L’utile inutilità della luce: un’arte dall’inutile utilità.
Si distingue questa personale alla 42 contemporaneo: niente orpelli, niente che paia
di troppo, tutto sembra necessario: eppure l’installazione di Ludovico Bomben risulta l’essenza dell’inutilità. È esemplare la commistione di due linguaggi differenti e affini, il design e l’arte, così come è esemplare il salto - prettamente artistico - che accorcia
le distanze e permette di arrivare subito al punto: guardare le cose con occhi diversi, sintetizzare visivamente un pensiero con umili utensili domestici, rendere inutile un oggetto usuale come il lampadario, portando la sua luce quasi a livello del pavimento. È un’operazione dall’incisiva semplicità, d’altri tempi. Non c’è dispersione d’idee e concetti, l’attenzione finalmente può concentrarsi perché il corpo dell’opera è ridotto all’osso: uno scheletro di cavi elettrici bianchi s’irradiano partendo da tre quadri-centraline, giungendo al soffitto, per poi ricadere diritti e finire nei 75 lampadari puntati a terra. Qui contano
le minime distanze, il valore sta nel limite, nell’intercapedine tra il sopra e il sotto, tra la fonte e il cerchio luminoso. È infinitesimale, quasi atomica l’energia contenuta in quella distanza, perciò potente: la luce non è mai stata così a terra, a portata di piede, ma intangibile! Metafora della sua velocità, tale che la partenza quasi coincide con l’arrivo, metafora della vita, dalla durata infinitesimale se rapportata al cosmo: non si fa in
tempo ad accendere l’interruttore che la corrente è già arrivata. In quella piccolissima distanza tra l’alto e il basso, il cielo e la terra, la luce e la sua inevitabile sparizione sta tutto e niente. La fonte di luce illumina se stessa e mostra la sua consistenza tanto affascinante quanto effimera; il lavoro del ventiquattrenne Bomben (che ha partecipato alla Biennale di Venezia 2005 nelle sezioni “Atelier Aperti”- Accademia di Belle Arti di Venezia –, “CZ_VPI2006” - Mostra Internazionale di Architettura - ed è stato selezionato per la “90ma Collettiva Giovani Artisti” della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia) è autoreferenziale nell’essenza, nella struttura: quando l’opera ‘viene alla luce’ è già
sul punto di finire, parla di sé e con sé, s’illumina con il suo stesso contenuto. Come nella vita anche nell’arte l’inutilità, la precarietà e la deperibilità sono ‘innate’: subito si annuncia il corpo, ma immediatamente dopo rimane solo l’ombra; il cono luminoso ha breve durata e piccolo raggio, non si è pienamente all’interno ma non si fa ancora parte dell’ombra circostante, ci si sente esclusi da entrambi, scomodi osservatori di un attimo.
testo tratto da Exibart di Antonella Tricoli