Riccardo Caldura, 2017
Alessandra Santin, 2016
Marco Minuz, 2015
Daniele Capra, 2011
Andrea Bruciati, 2010
Gaetano Mainenti, 2009
Daniele De Luigi, 2006
Superficie di contatto
Ludovico Bomben, per la personale a TRA, ha presentato una selezione di opere recenti, a parete e nello spazio, contraddistinte dal nitore formale che è la chiave stilistica e concettuale della sua ricerca. Un linguaggio minimalista in grado di calibrare ogni elemento relazionandolo alle caratteristiche dell’ambiente, in questo caso il trecentesco piano nobile di Cà dei Ricchi, senza subirne però la marcata caratterizzazione grazie alla capacità di generare un proprio dispositivo spaziale.
Si potrebbe parlare di uno spazio nello spazio, dove il primo, quello contemporaneo, produce nei confronti del secondo, lo spazio storico che lo contiene, una sospensione silenziosa, ritmata in particolare dall’articolazione delle opere a parete, grandi superfici bianche dove affiorano dalla carta, stampata a secco, le trame geometriche di ulteriori spazi possibili. I lavori a carattere installativo e scultoreo, composti di pochi essenziali elementi, generano a loro volta linee di tensione nell’ambiente dovute al preciso quanto delicato equilibrio delle parti che li compongono. L’acuminarsi delle estremità degli oggetti esposti, vere e proprie linee-dardo, richiede da parte dello spettatore un aumento del livello di attenzione anche nel percorrere l’ambiente.
Uno spazio dunque della misura e dell’equilibrio, dovuto a gesti compositivi discreti, quanto netti, grazie alla precisione con cui vengono evidenziandosi le linee-forza tridimensionali, e il gioco degli affioramenti di forme possibili dalla luminosità e purezza delle superfici. Queste recenti opere di Bomben, singolarmente e ancor più nella loro reciproca iterazione nello spazio, rappresentano bene quanto il suo lavoro sia particolarmente attento alla relazione fra bidimensionalità e tridimensionalità: il volume può ridursi all’essenzialità di una linea di forza, di una linea-dardo, la superficie si tende rivelando la tensione sottocute che la pervade, resa percettibile dallo spessore di un bordo dorato. In una delle opere esposte, una grande ‘icona’ a parete, questo gioco di tensioni e affioramenti è rivelato dal rapporto delle due forme che compongono il lavoro: immerse nel bianco sembrano subire un processo di estroflessione e di compenetrazione. Qualcosa accade su quelle superfici e sono le variazioni della luce a rivelarlo. Qualcosa accade quando lo spazio generato dall’opera, nella sua apparente sottrazione di quel che vi è da vedere, in realtà chiede al visitatore di concentrarsi, di rallentare, per entrare in contatto con l’esperienza di un appena visibile fatto di luce, di forme affioranti e della delicata materialità di elementi compositivi quali l’oro, il nero dell’alluminio anodizzato, il bianco delle carte.
Nelle materie dove queste sono sul punto di smaterializzarsi, sulle superfici dove gioca la capacità di rivelazione che ha la luce, nelle linee-forza che invitano a concepire uno spazio di meditazione non come uno spazio ‘disarmato’ quanto come uno spazio dove l’attenzione deve acuirsi, nel complesso gioco di reciprocità di questi elementi, si articola una concezione dell’opera contemporanea che si sottrae alla dimensione del quotidiano per far spazio, ed entrare in contatto, con una diversa visione della realtà. Di quale diversa visione si tratta però? Che significano, dal punto di vista formale quanto concettuale, quegli aspetti minimalistici che mirano a una riduzione degli elementi compositivi?
La superficie per Bomben, per quel che riguarda soprattutto la serie di lavori a parete, ha una rilevanza notevole nel suo essere ‘cerniera’ fra gli ambiti dimensionali, con quel particolare gioco dell’affioramento dal piano al tendenzialmente volumetrico. Così la superficie può essere concepita come luogo di un evento di passaggio, una sorta di superficie-soglia dove quel che avviene è una sorta di transizione fra gli ambiti dimensionali. Se si osservano le figure geometriche affioranti, grazie al rilievo a secco, la loro stessa forma, appena percepibile, ma sempre così netta, ha che fare con il concetto di transito o passaggio. Ad esempio quello che avviene fra figure ad angolo retto e figure circolari, passaggio che rende possibile configurarne di ulteriori: fra figure piane e solidi regolari, oppure fra un cerchio e un cilindro, ma anche fra un parallelepipedo e un cilindro, cioè una sorta di salto di stato, di vera e propria trasformazione che avviene sulla superficie, senza vi sia soluzione di continuità. Quelle di Bomben nella loro geometrica algidità sembrano essere figure del paradosso, che si generano sulla soglia fra percezione e illusione, visibile e invisibile. Il processo avviene sotto i nostri occhi, quando questi si sono abituati a cogliere la funzione che svolge la luce, nella sua capacità di essere mezzo di una rivelazione. In particolare quando la luce gioca fra i poli diametralmente opposti del bianco e del nero. Il colore, riferendosi alle opere esposte da Bomben in gallerie o musei e per quel che riguarda nello specifico la mostra a Treviso, è pressochè assente . Per l’ambiente di Cà dei Ricchi, l’artista ha concepito e realizzato una ritmica di sette elementi fra i due estremi del bianco e del nero. Se delle opere in bianco si è già accennato in precedenza, va ora quantomeno richiamata l’attenzione sulla triade di opere in nero. “Dardo” è composta l’una da due soli elementi: una lunga asta orizzontale, vera e propria linea di forza, con entrambe le estremità acuminate, che tende girare e a oscillare al minimo tocco, posta in equilibrio, cioè non fissata stabilmente, su una linea-supporto verticale, il cui ancorarsi a pavimento restituisce un senso della funzionalità che evidentemente non è solo funzione. Si tratta di struttura ai limiti della fisicità, linee più che volumi, in un delicatissimo bilanciamento delle tensioni. L’altra opera della serie ‘nera’ è un’”Acquasantiera”, variazione in alluminio anodizzato di un precedente lavoro di Bomben, dal centro del bacile emerge l’estremità acuminata di una linea-dardo. L’ultimo elemento della triade è un’opera, l’unica “Figura nera” a parete nell’insieme delle ‘figure bianche’. Il soggetto anche di quest’opera è una forma, visibile solo grazie ad una lieve differenza di tonalità rispetto al ‘non colore’ dominante, geometrica e paradossale nel suo rigore, non meno di quelle bianche, che taglia diagonalmente l’omogeneità nera della superficie. Così come dal bianco emergono, appena visibili, forme esatte quanto paradossali, analogamenteemerge dall’omogeneità della superficie nera, l’accenno ad un volume sospeso fra bi e tridimensionalità virtuale. Un volume percepibile solo perché appena più chiaro dello spazio nel quale fa la sua apparizione, come se nel nero filtrasse un residuo luminoso in grado di rivelare il dinamico ‘farsi avanti’ di una forma possibile.
Luce, superfici, linee. E dalle linee gli orli, che hanno per Bomben un ruolo fondamentale essendo chiamati a svolgere funzione evidenziante. E’ anche grazie all’orlo che noi possiamo percepire l’affiorare di un possibile volume dalla planimetria. L’orlo cioè non si limita ad essere il disegno che contorna e genera la figura sulla superficie, è soprattutto il dispositivo che tridimensionalizza quanto avviene sulla superficie medesima. Il suo ‘colore’ è l’oro, nelle varianti a 24 k o in oro bianco. Non ci sta riferendo, lo abbiamo già fatto in precedenza, alla grande “Pala 21”, una sorta di icona a parete dal valore però dichiaratamente scultoreo, e non ci si sta riferendo nemmeno ad altre opere dove appare un’analoga funzione dell’ orlo. Ci si riferisce alla cura che Bomben riserva alle stesse cornici delle opere, cornici che non si limitano a svolgere la loro consueta funzione. Il trattamento delle superfici interne di alcune cornici le trasforma in virtuali estensioni dei lavori stessi. Grazie all’altezza dei loro bordi, le cornici sono trattate in modo tale da entrare attivamente nella dinamica in atto fra gli ambiti dimensionali, compartecipando all’azione della luce, e generando una transitività delle forme verso lo spazio esterno dell’ambiente circostante.
La cura dei dettagli, il rigore dell’esecuzione non meno che la concezione dei lavori e la loro interrelazione viene definendo un’idea di spazialità dove esattezza e paradosso percettivo, ai limiti di una possibile anamorfosi della figura, accennano alla visione di un altro spazio, quello che potrebbe essere ascrivibile al ’sacro’, o quantomeno a quell’ ambito dell’esperienza umana che affiora quando la struttura dell’immagine ricorda quella di un’icona o di una pala, quando una scultura è pensata come acquasantiera, quando insieme al bianco e al nero troviamo come unico altro ‘non-colore’ l’oro. Una concezione dell’opera lontanissima dall’esprimere un pathos gestuale ascrivibile ad una qualche eco romantica. Si tratta piuttosto di una sobrietà della misura che nella sua precisione non è solo esattezza o funzionalità - Heidegger avrebbe parlato di un presa-di-misura (mass-nehmen) che contraddistingue il poetico (das Dichterisches), mai da confondersi con quell’oggettivante misurazione (Vermessung) che caratterizza invece la sfera della tecnica-, ma accenno piuttosto ad una forma essenziale, che può mostrarsi lungo l’orlo fra visibilità e invisibiltà. Il lavoro di Bomben è il tentativo di sondare quali siano i limiti di uno spazio-nello-spazio (inframince, in-bitween, dazwischen) dove la luce ci rivela un apparente paradosso: non è di sola materia che è fatta la nostra relazione con la realtà. Così come nella precisione ‘paradossale’ della misura vi è la consapevolezza che l’eventuale reciprocità fra spazio mondano e ultramondano non può essere esplicita: per questo il nostro misurare non può che essere un processo di approssimazione. Svuotare l’icona del suo contenuto tradizionalmente esplicito è un invito a concentrarsi sul senso implicito di ciò che le sue figure intendevano trasmettere. “In questa nudità trova lo/lospirito riposo, perché non/comunicando niente, niente lo attrae/ verso l’alto e niente lo schiaccia/verso il basso, perché sta/al centro della propria umiltà” (San Giovanni della Croce)
Riccardo Caldura